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Mistress Ludovica Luxury
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LUDOVICA LUXURY -CAGED ASHTRAY -hd

3/16/25 9:30 AM•7 min•231 MB•mp4•1080p
Price€9.49 EUR
CategoryHuman Ashtray
Related CategoriesClassic Smoking,Humiliation,Ignore,Smoking,Spitting
KeywordsHuman Ashtray,Caged,Mistress Ludovica Luxury,Classic Smoking,Ludovicaluxury Clips4sale,Smoking,Padrona Ludovica Luxury,Humiliation,Italian Mistress,Ignore,Spitting,Spit Fetish
Description

ENGLISH SPEAKING. I step into the room, my heels echoing on the matte gray floor, a cold shade that reflects the blue neon light embedded along the edges, casting thin shadows on the bare walls. The atmosphere feels thick, almost surreal, as I head toward the BDSM bed, an imposing black steel frame with red leather accents. Beneath it, locked in the built-in cage, is my slave, there for several days now, his breathing barely noticeable in the still air. I sit calmly on the black silk-covered mattress, my thighs brushing the smooth fabric, and ignore him completely, as if he doesn’t exist. I hold a pack of cigarettes in my hand, my fingers idly playing with the cardboard, while with my other hand I pull my phone from the pocket of my outfit and dial my friend Mistress. As the call connects, I lean back against the padded headboard, crossing my legs casually, and start chatting with her about trivial things: the dreary weather outside, a new pair of boots I want to buy, a dinner we’ve planned for the weekend. I pay no attention to the cage beneath me, but my slave takes advantage of an opening in the structure, a hole just wide enough for his head to pass through. Without me noticing at first—lost as I am in the conversation—his head slowly emerges, his eyes locking onto me, drawn to my stunning outfit. I wear a sheer lace bodysuit, a delicate web of black threads that hugs my body, leaving little to the imagination. Underneath, a tiny pair of panties, a mere slip of silk, barely covers what it needs to, accentuating the perfect curves of my firm, sculpted buttocks. I’m braless: the tight lace reveals my perky nipples, pressing against the fabric like little gems. I talk on the phone, my voice light and amused, but when I finally catch his prying gaze, a smirk curls my lips. I decide that since he dares to snoop without permission, I might as well make him useful. With a quick motion, I pull a cigarette from the pack in my hand, light it with a plain blue plastic lighter—nothing fancy—and take a long drag, the smoke curling into the air in white spirals. I keep chatting with my friend—telling her about a movie I watched recently—while the slave’s head, now fully out of the hole, becomes my makeshift ashtray. With a sharp flick, I tap the ash onto his tongue, which waits there, exposed and defenseless. I take another drag, the taste of tobacco filling my mouth, and between a laugh and a comment to my friend, I stub the cigarette out right on him, pressing the hot butt against his tongue until the orange glow fades completely. His face doesn’t flinch, but I know he feels it all. To make the mouthful easier to swallow, I lean forward slightly, gather some saliva in my mouth, and spit it directly onto his lips, a generous stream that mixes with the ash and the butt. “Swallow,” I think to myself without saying it aloud, straightening up again, the phone still pressed to my ear. My friend asks me something, and I laugh, shifting the topic as if nothing happened. When the conversation wraps up—after promising to send her a photo of my next purchase—I turn off the phone and slip it back into my pocket. I rise from the bed, the lace of my bodysuit rustling faintly against my skin, and head toward the door, my heels marking each step on the gray floor. I don’t spare him a glance: he stays there, in his cage, right where he belongs, as I leave the room, the blue light reflecting behind me like a cold, distant aura.


Entro nella stanza, i miei tacchi che risuonano sul pavimento grigio opaco, un colore freddo che riflette la luce blu al neon incastonata lungo gli angoli, proiettando ombre sottili sulle pareti nude. L’atmosfera è densa, quasi surreale, mentre mi dirigo verso il letto BDSM, un’imponente struttura di acciaio nero con dettagli di pelle rossa. Sotto di esso, chiuso nella gabbia integrata, c’è il mio slave, lì da diversi giorni, il suo respiro appena udibile nell’aria immobile. Mi siedo con calma sul materasso rivestito di seta nera, le cosce che sfiorano il tessuto liscio, e lo ignoro completamente, come se non esistesse. Tengo in mano un pacchetto di sigarette, le dita che giocherellano distrattamente con il cartoncino, mentre con l’altra mano estraggo il telefono dalla tasca della mia tutina e compongo il numero della mia amica Mistress. Mentre il segnale si connette, appoggio la schiena contro la testiera imbottita, le gambe accavallate con noncuranza, e inizio a chiacchierare con lei di cose banali: il tempo uggioso fuori, un nuovo paio di stivali che voglio comprarmi, una cena che abbiamo pianificato per il weekend. Non faccio caso alla gabbia sotto di me, ma il mio slave approfitta di un’apertura nella struttura, un foro appena sufficiente per far passare la testa. Senza che me ne accorga subito—persa com’è nella conversazione—la sua testa emerge piano, i suoi occhi che si posano su di me, catturati dal mio outfit irresistibile. Indosso una tutina di pizzo trasparente, un intreccio delicato di fili neri che avvolge il mio corpo come una ragnatela, lasciando poco all’immaginazione. Sotto, una mutandina minuscola, un triangolo di seta che copre appena il necessario, mette in risalto le curve perfette delle mie natiche, sode e scolpite. Non porto reggiseno: il pizzo aderente lascia intravedere i miei capezzoli turgidi, che sporgono contro il tessuto come piccoli gioielli. Parlo al telefono, la voce leggera e divertita, ma quando finalmente noto il suo sguardo indiscreto, un sorrisetto mi sfiora le labbra. Decido che, visto che osa curiosare senza permesso, tanto vale renderlo utile. Con un gesto rapido, tiro fuori una sigaretta dal pacchetto che tengo in mano, la accendo con un accendino blu di plastica—un modello semplice, senza pretese—e tiro una lunga boccata, il fumo che si arriccia nell’aria in spirali bianche. Continuo a chiacchierare con la mia amica—le racconto di un film che ho visto di recente—mentre la testa dello slave, ormai fuori dal foro, diventa il mio posacenere improvvisato. Con un colpetto deciso, faccio cadere la cenere sulla sua lingua, che aspetta lì, esposta e vulnerabile. Tiro un’altra boccata, il sapore del tabacco che mi riempie la bocca, e tra una risata e un commento alla mia amica, spengo la sigaretta direttamente su di lui, premendo il mozzicone caldo contro la sua lingua finché il bagliore arancione non si spegne del tutto. Il suo viso non si muove, ma so che sente ogni cosa. Per rendere il boccone più facile da mandar giù, mi chino appena in avanti, raccolgo un po’ di saliva in bocca e gliela sputo direttamente sulle labbra, un getto abbondante che si mescola alla cenere e al mozzicone. “Ingoia,” penso tra me e me, senza dirlo ad alta voce, mentre torno a raddrizzarmi, il telefono ancora all’orecchio. La mia amica mi chiede qualcosa, e io rido, cambiando argomento come se nulla fosse. Quando la conversazione si conclude—dopo averle promesso di mandarle una foto del mio prossimo acquisto—spengo il telefono e lo rimetto in tasca. Mi alzo dal letto, il pizzo della tutina che fruscia leggermente contro la mia pelle, e mi avvio verso la porta, i tacchi che scandiscono ogni passo sul pavimento grigio. Non gli rivolgo nemmeno uno sguardo: lui resta lì, nella sua gabbia, esattamente dove deve stare, mentre io esco dalla stanza, la luce blu che si riflette dietro di me come un’aura fredda e distante.

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